È raro trovare un grado così elevato di intima coerenza in un’Artista.
La Corbellini Vaccari è la sua opera tanto quando vediamo i suoi gioielli, le sue sculture e i suoi quadri.
Appare subito evidente la sincerità di questa Artista che riesce a utilizzare qualsiasi tecnica per piegare la materia alla sua Idea.
Originale e fuori dagli schemi dona dei tasselli del suo Io, piccole o grandi riflessioni, di volta in volta magistralmente utilizzando quello che ritiene.
La sua è una libertà espressiva mai sguaiata, direi educata, composta, profonda, pregna di voluti particolari minuti, non percepibili a occhi disattenti.
Così i giardini segreti che talvolta descrive, nei quali l’osservatore non può che agognare di rimanere, almeno per un po’. Come se lei ci suggerisse: io ci sono stata, mi ha giovato, prova pure tu, se ritieni e non ti crea disturbo.
Tutte le sue creazioni (o vogliamo epitetarle ‘Creature’?) risultano corollariche al suo modo di essere.
C’è qualcosa di lieve e profondo al contempo, di salvifico, come un unguento.
La riconoscibilità dello stile è la caratteristica pretesa da quel mercato che noi Effettisti non stimiamo.
La Corbellini Vaccari è riconoscibile in senso assoluto: come se lei, camminando con leggerezza lasciasse scivolare, senza fare alcun rumore, le sue creazioni artistiche che assurgono ciascuna a vita propria, rimanendo fluttuanti attorno a lei.
Vedendo le sue Opere si ha la immediata sensazione che abbia voluto concederci di entrare nel suo mondo salvagente, isola di poesia in un mondo tempestoso e sovente inaccettabile.
Non possiamo che ringraziare.
Francesca Romana Fragale
Ha cominciato con la porcellana, Emanuela Corbellini. Decorando piastre traslucide di motivi istoriati di ogni tipo, figurine umane nelle più svariate mansioni, dalle più arcaiche alle più moderne, che si ritagliavano i loro spazi vitali fra oriente e occidente, sempre contornati di oro, in mezzo a piante, fiori o animali sovradimensionati e straordinariamente variopinti. Promettevano bene quei lavori che non potevano certo considerarsi solo decorazioni, avendo in tutta evidenza la compiutezza strutturale dell’opera tout court. non dovevano però convincere fino in fondo la Corbellini sul fatto che potessero essere considerati arte come convenzionalmente siamo indotti a intenderla. Ha perciò voluto trasferire molta dell’esperienza accumulata decorando porcellana in una pittura che potesse essere finalmente principio e fine di sé stessa, liberandosi dal bisogno di dover abbellire qualcosa che era già pervenuta, matericamente parlando, al livello di piena dignità.
Altra cosa partire da zero, e dal nulla creare qualcosa che valesse in quanto espressione, non per altri motivi. bisogna dire che anche dipingendo in questo modo la Corbellini non ha smentito affatto quanto aveva fatto prima. la sua pittura rimane contraddistinta da un senso strabocchevole dell’ornamento che nulla lascia privo di impronta, come se l’horror vacui fosse il più terribile degli incubi concepibili.
Piuttosto, ciò che é più evidente in questa “pittura-pittura” della Corbellini é l’assoluto dominio che concede alla rappresentazione romantica della natura, in termini formali tardo ottocenteschi che tengono debito conto dell’Impressionismo e più ancora del Post Impressionismo, riuscendo il più delle volte a tenere sotto controllo un istinto votato spontaneamente all’accentuazione degli aspetti espressivi. ma é altrettanto palese che primitivismi fauves e orientalismi in gusto japonard non sono altro che strumenti di cui la Corbellini si serve per raggiungere obiettivi che vanno al di là del semplice momento artistico, ambendo alla compenetrazione panica fra il suo spirito e quello della natura in cui si immerge, anche quando la reinventa fantasticamente. Come nella favola bella che illude, “… o Ermione”.
Vittorio Sgarbi
Sensorialismo materico. Questa la definizione utilizzata per descrivere l’arte della lodigiana Emanuela Corbellini. Le opere dell’artista emergono sulla superficie anelanti, intrepide di entrare in contatto con il fruitore, come se volessero uscire dal supporto pittorico per avvicinarsi quanto più possibile all’astante.
Si è di fronte ad una produzione che contempla le bellezze del Creato: la magistrale perizia tecnica è ben supportata da una profonda sensibilità.
Il suo repertorio richiama alla mente quel rapporto tra mondo intelligibile e sensibile posto in essere da Plotino. In riflessioni di tal genere l’esperienza della bellezza è per l’anima un’occasione per ricordarsi della propria natura intelligibile. La via del Bello è quella in cui l’uomo, impressionato da un aspetto della dimensione sensibile, percepisce la presenza di qualcosa di superiore, che lo attrae verso l’alto. Il Bello è perfezione di forme ed inietta Amore in chi lo ammira; chi si dimostra sensibile ad esso vive in uno stato di entusiasmo interiore e si incammina in un percorso verso l’immateriale e il sovra-formale, dal momento che non vi è bellezza sensibile che non possa appagare totalmente il bisogno metafisico dell’essere umano.
L’esecutrice, spirito continuamente ispirato e prolifico, rientra perfettamente nel profilo appena esplicato.
La sua formazione è legata al mondo della ceramica, della modellazione a freddo, del biscuit e della pittura su porcellana, ma si cimenta in diverse tecniche, sperimentando su diversi mezzi. Come gli esponenti della Art & Crafts dell’Inghilterra preraffaellita producevano oggetti che alla qualità della materia prima univano dei contenuti indicatori di certi interessi storico-artistico-culturali, in reazione all’industrializzazione di fine Ottocento, la Corbellini dimostra, oltre alla ben tangibile ricerca di gradevolezza estetica (denominatore comune a tutti i suoi lavori), la sua intera personalità, il suo DNA creativo, le sue fonti d’ispirazione. Si tratta di manufatti, e, in quanto tali, derivano, per definizione, dalla mano umana e la manualità esclude, per definizione, la riproducibilità e la mera riproduzione.
Ogni elemento stilistico, realizzato personalmente dal Maestro lombardo, svela una sottesa armonia che ella vorrebbe riproporre al suo pubblico. Se L. C. Tiffany concepì oggetti in grado di elevarsi dal mero artigianato, le celebri lampade omonime, che con i loro vetri opachi e opalescenti regalano sensazioni ottiche appaganti e gratificanti, allo stesso modo l’autrice lombarda concepisce oggi un tipo di arte che, nonostante sia anche destinata all’arredo, non perde tuttavia quell’aura di artisticità che occorre riconoscerle e tributarle. Sono opere raffinate quanto preziose: la loro unicità le sottrae alla serializzazione, zoccolo duro di quella cultura Pop incentrata sulla fruizione subitanea su cui gioca e inventa, su tutti, Warhol.
Ogni sfumatura vitrea dei lumi Tiffany è a sé, così come ogni fiore, ogni oggetto realizzato dalla Corbellini si configura come un unicum impossibile da replicare. I suoi soggetti, come si è affermato precedentemente, sembrano il riflesso di una bellezza sùpera, ultraterrena. La gamma cromatica è variegata e vibrante. Ecco susseguirsi davanti gli occhi di un meravigliato spettatore momenti di alto valore lirico, tra cui composizioni ispirate alle diverse stagioni dell’anno e alle ore del giorno.
Come sinfonie musicali, forti del loro intrinseco equilibrio, le opere in questione, siano esse ceramiche o tele, riescono ad emozionare, conducendo per mano in mondi imperturbati.
In pittura, i caldi colori autunnali, dall’ocra al marrone, fino all’oro, rievocano i paesaggisti scandinavi dell’Ottocento e Paprocki. In merito a tale stagione, confronterei Autunno, del Maestro qui in via di analisi, con Il sentiero delle rose, Giardino di Giverny, di Claude Monet, del 1920-21.
Entrambe i dipinti sono intrisi di una luce calda che ammanta discretamente l’osservatore; ma se in Monet la pennellata è ben visibile sulla tela (si può infatti rintracciare facilmente l’andamento e il tratto fisico della pennellata, soprattutto nell’arco formato dalle rose), nella pittrice di Lodi la tavolozza si rarefà, assumendo i tratti di una nebulosa dominata da toni aranciati e rossastri; qui l’autunno esplode come un incendio, si manifesta come un’eruzione vulcanica in mezzo ad alti fusti arborei, più prettamente figurativi.
Si stabilisca un ulteriore raffronto con La Foresta in Autunno di Gustave Courbet, del 1841: l’artista francese ci proietta in un lacerto di paesaggio intimo, effetto cui approda con quelle velature di marrone aranciato, riferimento alla terra, quella terra umida e odorosa di Ottobre e Novembre. L’esuberanza cromatica viene in questo caso frenata: l’astante si raccoglie in tal caso in sé stesso. Nel caso della pittrice, invece, c’è una traiettoria dall’interno verso l’esterno, quini un’esternazione, simbolo di una carica emotiva, di una forza bisognosa di emergere tutta affidata al potere della palette impiegata.
Come deducibile, entrano in ballo nel discorso affrontato i principi della cromoterapia. I colori aiuterebbero il corpo e la psiche a ritrovare il loro naturale equilibrio e avrebbero effetti fisici e psichici in grado di stimolare il corpo e calmare certi sintomi. Tale tesi è stata confermata e supportata dalla medicina ayurvedica, che ha sempre tenuto conto di come essi influenzino l’equilibrio dei chakra, i centri energetici abbinati alle principali ghiandole del corpo.
In Autunno dominano il rosso e l’arancio; il primo è associato al calore, all’energia vitale, alla passione; il secondo, invece, ad un’azione liberatoria sulle funzioni fisiche e mentali; esso sarebbe in grado di catalizzare e distribuire l’energia, inducendo entusiasmo, serenità, letizia, voglia di vivere, ottimismo, sinergia fisica e mentale.
Altre cromie più fredde, come il verde e il rosa dei fiori, suscitano parimenti sensazioni positive nell’osservatore. Degni di nota anche certi lavori incentrati sul blu, associato alla calma, alla serenità e all’equilibrio emotivo; essi restituiscono alla vista fiabesche foreste nordiche. Le variegate sfumature del colore succitato e l’impiego dei cristalli catturano lo sguardo; infiniti sono i barbàgli di luce profusa; si individuino, in siffatti dipinti, sguardi alla produzione trasognata di Dulac, Le Sidaner (soprattutto nelle ambientazioni veneziane) e Shikaneder.
Opere di questa fattura alienano dalla realtà contingente, epurandola dai suoi aspetti negativi; in esse si rintracciano atmosfere suggestive in cui non figura il mondo artificiale. La Natura viene qui tratteggiata come quel sistema perfetto che effettivamente è, con i suoi meccanismi e il suo riverbero di un’altra bellezza, il Bello morale, ovvero il Bene.
Ivan Caccavale
Storico e critico d’arte, curatore
Il lavoro funzionale sia pittorico che scultoreo di Emanuela Corbellini invoca temi cari alla memoria, all’’intimità, al contenimento.
L’Artista mette in evidenza gli aspetti trascurati e invisibili della quotidianità , e coinvolge le nostre ipotesi di normale, di bellezza, e ne vale la pena.
Lei prende in esame il linguaggio del manufatto attraverso la narrativa, l’uso della realtà, e la scioltezza del tocco.
Originaria di Lodi – con lunghi periodi di residenza a Milano – sviluppa attraverso il contrasto esterno prodigioso della città, Il suo lavoro, che trova un’affinità nel luogo dove il viscerale e lo strutturale si incontrano, un incrocio condiviso di corpo, di artigianato e di ambiente, dal monumentale, alla quiete distesa della natura.
Una deliziosa mescolanza di colori vivaci è la prima impressione nel vedere la pittura di Emanuela.
I suoi oggetti cuociono a fuoco lento e sfrigolano con le immagini per stimolare la fantasia. La persistenza di colore in queste opere ci fa pensare a Matisse e ai i Fauves, la raffigurazione di un sogno intriso di immagini, in cui assistiamo al tentativo di recuperare i sentimenti per esprimere visivamente attraverso la manipolazione spontanea della superficie pittorica i suoi pensieri inconsci .
Le grandi pennellate di colore e la trama leggera danno spesso non solo tonalità e la texture ai suoi dipinti, ma servono in realtà a determinare la sua composizione. La narrazione è importante, ma serve chi guarda per completarla.
C’è una grande varietà di opere di Emanuela ,ma la percezione pittorica riporta a quel vortice di pennellate in grado di creare dipinti di grande energia ed esuberanza ,come fluttuanti nello spazio e nel tempo indeterminato.
Come gran parte del lavoro di Emanuela nel corso degli ultimi anni, sono dipinti di vita animata, la cui sorgente è nella ricchezza della fantasia creativa dell’artista.
Ha interiorizzato questa stimolazione e si avvicina alla sua arte come un mezzo in continua evoluzione per portare avanti l’internalizzazione dei due mondi esterni ed interni.
come ad integrare la forma della ceramica scolpita con la sua pittura attraverso il particolare incisivo capace di creare il surreale, o l’ immaginario narrativo atmosferico.
Il suo lavoro in ceramica è come effimero, profondo e romantico. Spesso i suoi pezzi sono onirici e pieni di colore, di luce, e disegno ritmico, attraverso cui celebra la gioia della bellezza della natura.
La fusione di elementi disparati crea una nuova lingua; l’intreccio tra natura, cultura e arte convive nel suo lavoro per creare convincenti immagini di deliziosa produzione pittorica.
Maria Grazia Todaro Maggio 2016